Simone Zanoni. Il gusto della sostenibilità

Nato sul lago di Garda, a Salò, nel 1976, dal 2016 Simone Zanoni è chef a Le George, il ristorante italiano del Four Seasons George V di Parigi. In mezzo, grandi esperienze a Londra, con Gordon Ramsay, che gli ha successivamente affidato il Trianon Palace di Versailles.

Come è vista oggi la cucina italiana in Francia e a Parigi? E nella sua cucina in particolare quanto contano le origini, l’approccio con il territorio, le tradizioni?

Diciamo che ho cercato e cerco di rendere giustizia e far riconoscere il valore della cucina italiana. In questi ultimi anni, con la difficoltà di fare viaggi lontani, i francesi hanno riscoperto l’Italia. E venendo in Italia hanno apprezzato i prodotti, la gastronomia, l’accoglienza, lo stile italiano. Quello stile che fa sognare il 90% della popolazione mondiale. Io cerco di proporre proprio lo stile italiano, l’idea della condivisione, lo spirito della famiglia a tavola, come quando ero bambino e mia nonna mi preparava l’anatra arrosto che era la mia passione, i sughi, la pasta fresca. La mia idea è stata quella di trasferire quello stile, quella semplicità e autenticità in un Palace parigino.

Quale cucina propone ai suoi ospiti, rigorosamente italiana-mediterranea o con contaminazioni francesi?

No, niente contaminazioni. Piuttosto, ho ripreso le tecniche della grande cucina francese per adattarle e utilizzarle nei piatti della cucina italiana. Un esempio? La cotoletta alla milanese, cotta a bassa temperatura, poi passata all’ultimo minuto nel burro chiarificato, per un fondo perfetto: piatto italiano con tecniche alla francese.
Quello che mi importa è esprimere lo spirito di convivialità italiano, il gusto per i prodotti. A casa, a Salò, i miei hanno sempre avuto un orto, allevato galline. Mio padre mi ha insegnato il gusto per la genuinità fin da bambino, io non l’ho mai dimenticato. Ho voluto portarlo in un hotel mitico come il George V, che ha 700 dipendenti, 150 cuochi e un fatturato di 130 milioni di euro all’anno. E creare qui un ristorante italiano semplice ma chic, dove ci sente a proprio agio.
La clientela oggi è cambiata. Tecnologia e social hanno abbassato l’età di chi va in un ristorante esclusivo. Oggi sono giovani di 25/30 anni, gente che viaggia e vuole vivere un’esperienza, ma in modo più rilassato. Uno spirito che si estende anche ai miei ragazzi e ragazze, quelli che servono in sala, sono al ricevimento. Nessuna divisa, ognuno veste come preferisce...

Il suo grande impegno è verso la sostenibilità e la lotta agli sprechi alimentari: come si concretizza nel suo lavoro di chef?

Cominciando da casa mia: abito a Versailles, ho una serra idroponica di 30 mq, produco verdure, l’alga spirurilina, 30/50 kg di miele all’anno, ho 10 galline, conigli, 12 alberi di melo, il basilico, il rosmarino, ci porto i miei figli... In piccolo, per la mia famiglia, faccio la stessa cosa che fa per l’hotel il Domaine de Madame Elisabeth, sempre a Versailles: 3.000 mq da cui arrivano tutte le verdure per il ristorante. Tutto coltivato senza pesticidi, senza niente di sintesi: utilizziamo una music box e le onde musicali curano le piante e le fanno crescere bene. Abbiamo appena piantato nel terreno 7 anfore con 40 litri d’acqua, come facevano gli antichi Greci, che diffondono la giusta umidità, e abbiamo risparmiato così il 60% di irrigazione, pratichiamo culture alternate... Abbiamo 16 varietà di pomodori, rossi, gialli, verdi, neri, con cui d’estate preparo un carpaccio che piace molto. All’orto provvedono un giardiniere e alcuni ragazzi di cooperative sociali. Però il raccolto lo fanno i cuochi delle mie cucine: noi chef dobbiamo tornare ai campi, alla produzione, capire che nelle verdure non conta l’estetica ma il gusto. Io propongo solo verdure di stagione, le presento in ciotoline attorno al piatto proteico, di pesce o carne. E i clienti apprezzano. Offriamo loro anche la possibilità di venire al Domaine, raccogliere le verdure, e consumarle in un tavolo conviviale in mezzo al verde... una vera esperienza.

Veniamo all’acqua, tema del nostro magazine 2022. Lei utilizza e propone ai clienti l’acqua microfiltrata del rubinetto: perché? Come hanno reagito i clienti?

Ero a Melbourne, dovevo cucinare per i campionati di tennis, e mi hanno servito dell’acqua San Pellegrino. Ho pensato: quest’acqua ha fatto 15.000 km! Tornato qui ho cominciato a calcolare i consumi dell’acqua in bottiglia, ho contattato una società di acqua ultramicrofiltrata, AQuachiara, e ho cominciato a proporre l’acqua in belle caraffe: risultato, un rispamio di 50 tonnellate di vetro all’anno e di 300.000€. L’acqua di Parigi è una delle più pure d’Europa, e il 98% dei clienti ha apprezzato.

Il suo obiettivo è un ristorante sempre più sostenibile: quali altri progetti ha per raggiungerlo?

Utilizziamo tutti gli scarti alimentari: con la società Les Alchimistes organizziamo il recupero per produrre compost in tempi rapidi, lo utilizziamo per l’orto, e ora usiamo anche gli scarti di caffè, misti a segatura, per creare un sustrato ideale per produrre funghi in grossi sacchi, in un ambiente con la temperatura ideale del sottobosco, 20/25°: è il sistema di La Boîte à Champignons, e ci fornisce più di una tonnellata all’anno di ottimi funghi pleurotus grigi, molto saporiti. Il nostro prossimo obiettivo è riutilizzare il pane avanzato, essiccandolo per creare nuova farina. Perchè il rispetto della natura, la solidarietà e la sostenibilità sono le vere sfide del futuro.